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Written by Simona Scendrate

La Giornata europea dei Parchi al tempo del cornavirus.

La Giornata Europea dei Parchi 2020 ha uno slogan #ParksForHealth (Parchi sani, persone sane) quanto mai azzeccato, perché sottolinea l’importanza del contatto positivo con la natura per tutelare la salute umana, creare benessere, prevenire problemi di salute pubblica e promuovere uno stile di vita attivo e sostenibile. Insomma, avvicinare la natura alle persone e al loro bisogno di benessere è un’altra missione importante dei parchi al pari di quella di proteggere il nostro capitale naturale. Nonostante i limiti del distanziamento fisico, l’European day of parks, deve essere l’occasione per ribadire l’importanza dei parchi e riflettere sule difficoltà di un sistema nazionale delle aree protette che, non è composto di soli Parchi nazionali, e deve dare organicità alla tutela delll’11% del territorio nazionale protetto.

Parchi terrestri e aree marine protette, ottengono risultati importanti nella conservazione della biodiversità, sono meta per il turismo attivo e sostenibile e aiutano economie virtuose a crescere, nonostante le difficoltà. Le aree marine protette, ad esempio, devono sopravvivere con poche risorse, una governance inadeguata e un modello organizzativo risalente alla L.979/82 e la L. 394/91. Mentre i parchi nazionali, enti autonomi di diritto pubblico, per la gran parte sono sprovvisti di Piani dei parchi e Regolamenti approvati, come denuncia la Corte dei Conti che sottolinea anche la mancanza di personale e diverse inefficienze di gestione e nonostante abbiano le casse piene di soldi non spesi. Le aree protette regionali, invece, hanno subito continue modifiche normative e tagli ai finanziamenti, ed oggi appaiono solo l’ombra di quel sistema di tutela messo in campo dalla Regioni virtuose nel ventennio 1980-2000.

Il nostro Paese, grazie alla leale collaborazione tra le Regioni e il Governo, è stato capace di realizzare un sistema integrato di aree protette che in poco tempo, in particolare dal 1990 al 2010, è cresciuto dal 3 all’11%. Un percorso di concertazione messo a dura prova da una pretestuosa interpretazione della riforma del titolo V che, anziché dare nuove funzioni alle Regioni, ha sancito invece la separatezza tra le politiche statali e quelle regionali. Occorre risolvere il nodo politico della leale collaborazione, riscrivendo magari un nuovo progetto condiviso per le aree protette, per ottenere una migliore performance e rispondere anche agli obiettivi che a livello globale il deve raggiungere il nostro Paese. Il sistema nazionale delle aree protetta (che è di più della somma delle aree nazionali più quelle regionali), deve saper superare la separatezza tra le politiche nazionali e regionali, e co-decidere sulle scelte per la tutela della natura e dello sviluppo sostenibile dei territori protetti.

Serve una discussione pubblica, magari attraverso la terza Conferenza nazionale sulle aree protette, per affrontare nel merito i problemi delle aree protette e aperta a tutti coloro che vivono e operano nei parchi e non solo a chi “parla” di parchi. Una discussione utile a fornire ai parchi strumenti utili per prendere in mano la lotta al climate change e valorizzare questi territori che sono diventati più resilienti perché, mediamente, meglio gestiti e con maggiori opportunità.

Benefici oltre i parchi, non deve rimanere uno slogan datato, ma divenire una pratica in cui le are protette trasferiscono l’approccio One Health nei diversi settori in cui sono coinvolte (ambiente, salute animale, gestione del territorio…) per raggiungere i migliori risultati nella tutela degli ecosistemi e per la salute pubblica, mitigare le conseguenze della perdita della biodiversità, della crisi climatica e dei rischi legati alle pandemie prevenendo le zoonosi.

Le aree protette devono saper affermare la “pratica del parco” nei loro territori puntando a diventare un player territoriale, sapendo interpretare le aspettative dei cittadini e dei diversi portatori di interessi. Devono saper gestire i conflitti, che inevitabilmente crescono con la crescita del loro ruolo, per non essere travolti dalla gestione burocratica che li caratterizza ed evitare il lento e inesorabile declino che li può interessare.

Per rilanciare il sistema nazionale delle aree protette è necessario passare attraverso una “nuova primavera” e un accordo tra i diversi livelli istituzionali che fino ad oggi è mancato. Ripartire dalla leale collaborazione tra Governo e Regioni per scrivere assieme gli obiettivi del prossimo decennio per conservare la biodiversità, e programmare un percorso per tutelare il 30% del territorio nazionale e portare al 10% le aree a riserve integrale. Esiste già una lunga lista di aree protette in attesa di istituzione, altre richieste sono state avanzate da comunità locali e amministratori che reclamano un riconoscimento per i loro territori, mentre altre sono da istituire perché dovranno svolgere un ruolo fondamentale nella tutela e corretta gestione del nostro capitale naturale.

Occorre partire dalla aree protette sospese, quelle che stanno in un limbo e sono in un luogo istituzionale, per colpa di istituzioni che non decidono o sono incagliate in procedimenti istitutivi troppo macchinosi. Le aree protette che proponiamo di istituire nel decennio 2020/2030:

  • Parchi nazionali del Gennargentu previsto dalla legge 394/91;
  • Parco nazional del Delta Po previsto dalla legge 394/91;
  • Parco nazionale della Costa Teatina, in Abruzzo, previsto dalla 93/2001 che ha assegnato al parco un finanziamento di 1.000 milioni di vecchie lire a decorrere dal 2001. Dopo 19 anni ci sono 10milioni di euro immobilizzati nelle casse del Ministero in attesa del parco.
  • Parchi nazionali delle Egadi e del Litorale Trapanese Iblei in Sicilia, previsto dalla L. 227/2007;
  • Parco nazionale delle Eolie Iblei in Sicilia, previsto dalla L. 227/2007;
  • Parco nazionale degli Iblei in Sicilia, previsto dalla legge 227/2007;
  • Parco nazionale del Matese, tra Campania e Molise, istituito dalla L.205/17 ma l’iter è inspiegabilmente bloccato;
  • Parco nazionale di Portofino in Liguria, istituito dalla legge 205/17;
  • Area marina protetta dell’Arcipelago Toscano, prevista dalla legge 979/82 ancora prima che nascesse il Parco nazionale che oggi ha solo un perimetro di tutela a mare, per la quale è in corso una raccolta firme on-line;
  • Area marina protetta della Costa del Conero finanziata da una legge del 2014;
  • Area marina protetta della Costa del Piceno il procedimento è fermo dal 2008;
  • Area marina protetta Golfo di Orosei-Capo Monte Santu in Sardegna, in fase di completamento gli studi conoscitivi per istituirla;
  • Area Marina protetta di Capo d’Otranto – Grotte Zinzulusa, in Puglia, completamento degli studi conoscitivi;
  • Area marina protetta Romanelli – Capo di Leuca, in Puglia, completamento degli studi conoscitivi;
  • Area marina protetta Isola di Capri, in Campania, finanziati gli studi conoscitivi;
  • Area marina protetta Capo Spartivento, in Sardegna, finanziati gli studi conoscitivi;
  • Area marina protetta Isola di San Pietro, in Sardegna, finanziati gli studi conoscitivi;
  • Area marina protetta Costa di Maratea, in Basilicata, finanziati gli studi conoscitivi;
  • Area marina protetta Grotte di Ripalta – Torre Calderina, in Puglia, prevista dal 2013, è invece naufragata a causa del degrado rilevante e non risolvibile nel breve periodo del sito interessato dalla sua istituzione.
  • Area marina protetta della Penisola Salentina in Puglia, iter non avviato per mancanza di risorse economiche;
  • Area marina protetta Monte di Scauri nel basso Lazio, iter non avviato per mancanza di risorse economiche;
  • Area marina protetta Monti dell’Uccellina – Formiche di Grosseto – Foce dell’Ombrone Talamone in Toscana, iter non avviato per mancanza di risorse economiche;
  • Area marina protetta de La Maddalena, prevista dalla L.394/91 contestualmente al Parco nazionale che ha solo un perimetro di tutela a mare;
  • Area marina protetta del Circeo la legga 979/82 prevede la nascita della Amp delle Isole Pontine, sarebbe invece più opportuno tutelare il mare e la costa dell’attuale Parco nazionale che non gode nemmeno di una tutela del perimetro a mare;
  • Area marina protetta di Pantelleria, prevista dalla L. 394/91 non ancora istituita nonostante sia nato il Parco nazionale senza nemmeno un perimetro a mare.

Le nuove aree protette da istituire:

  • Istituire il Parco nazionale del Fiume Magra tra Liguria e Toscana, che comprenda l’attuale territorio del Parco Regionale di Montemarcello-Magra-Vara in provincia di La Spezia, le ANPIL, aree naturali protette di interesse locale, sul fiume Magra in provincia di Massa-Carrara, oltre ai siti della rete Natura 2000 compresi nel bacino idrografico interregionale del Fiume Magra.
  • Istituire il Parco nazionale della Penisola Sorrentina in Campania, che comprenda l’attuale Parco regionale dei Monti Lattari, l’Area marina protetta di Punta Campanella e le aree della rete Natura 2000 che interessano sostanzialmente quasi sempre gli stessi comuni che partecipano a tre diversi livelli di governance (parco regionale, Amp, e siti natura 2000), e in più si offrirebbe l’occasione di una gestione unitaria anche per il sito Unesco della Costiera Amalfitana.
  • Istituire l’Area marina protetta Torre la Punta in Campania, interessa la costa del Comune di Pollica, tra il borgo di Acciaroli e quello di Pioppi, e ricomprende uno specchio acqueo di oltre 1 milione di mq ricco di biodiversità e reperti archeologici di epoca greco-romana.
  • Istituire il Parco regionale del Crinale Piacentino, Emilia Romagna, corridoio di connessione con la Liguria dell’alto appennino piacentino con numerose aree umide in quota
  • Istituire il Parco regionale dei Monti Volsci, comprende i Monti Lepini ed i parchi regionali degli Ausoni e Aurunci inglobati in questa proposta unitaria di area ìdel Lazio meridionale.
  • Istituire il Parco regionale dei Monti Ernici, corridoio ecologico fondamentale per la tutela dell’Orso bruno marsicano, cerniera tra le aree protette del Lazio e dell’Abruzzo,
  • Istituire il Parco regionale dell’Alto Molise, interessa il territorio compreso tra le valli del Trigno e del Volturno e l’Area MAB Collemeluccio-Montedimezzo.
  • Istituire il Parco regionale fluviale del Neto, in Calabria, interessa l’intero corso del fiume fino alla foce

fonte:greenreport.it

22 Aprile – The Earth day 2020 la terra respira

Giornata Mondiale della Terra, istituita come giornata delle Nazioni Unite nel 2020 viene celebrata il 22 aprile. Da 50 anni a questa parte, essa rappresenta un appuntamento di riflessione sullo stato di salute del nostro pianeta e, per il 2020, il tema individuato è l’azione per il clima. Nonostante la minaccia del virus che sta condizionando la nostra salute e la nostra libertà, l’azione sui cambiamenti climatici rimane la più urgente sfida per la sopravvivenza dell’intera umanità. La sua improrogabilità emerge dai dati sul surriscaldamento globale divulgati dall’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM) delle Nazioni Unite, secondo cui le temperature raggiunte dall’aria superficiale nel 2019 sono le più elevate mai registrate.
Secondo lo studio del World Glacier Monitoring Service, inoltre, il 2019 è stato il 32° anno consecutivo in cui si è sciolto più ghiaccio di quanto se ne sia riformato ed i livelli del mare hanno raggiunto il loro massimo innalzamento da quando sono iniziate le registrazioni.
Le suddette rilevazioni suscitano il concreto timore sull’impossibilità di rispettare gli obiettivi delle Nazioni Unite fissati proprio nella giornata internazionale della Terra del 2016 in cui, nella sede di New York, venne aperto alla firma l’Accordo per combattere il riscaldamento globale raggiunto a Parigi nel dicembre del 2015.
Anche nella situazione in cui ci troviamo, in cui un virus minaccia la sopravvivenza di una consistente parte della popolazione e le nostre libertà, non bisogna distogliere l’attenzione dall’urgenza di frenare i cambiamenti climatici e azzerare le emissioni di gas serra il più presto possibile.

La vulnerabilità climatica costituisce la più grande sfida per il futuro e il benessere dell’umanità poiché rappresenta una minaccia all’abitabilità del pianeta, sia da un punto di vista biologico che sociale. Essa rischia di compromettere il nostro ecosistema vitale e le libertà umane, favorendo le discriminazioni tra i popoli e le disuguaglianze di genere.
Senza un radicale cambio di rotta, i cambiamenti climatici determineranno la perdita dei mezzi di sussistenza per le popolazioni più povere del mondo e le donne saranno le prime a farne le spese perché più povere, più esposte a malattie e dedite all’agricoltura.

Oggi la natura si sta riappropriando della propria terra, domani rientriamo in punta di piedi.

Esa, il lockdown per Covid-19 ha dimezzato l’inquinamento atmosferico da NO2 in Europa

Le concentrazioni di inquinamento atmosferico da biossido di azoto (NO2) sono in caduta libera in tutta Europa, come spiegano dall’Agenzia spaziale europea (Esa) riportando le ultime rilevazioni satellitari fornite da Copernicus – ovvero il programma di punta per l’osservazione della Terra dell’Ue. Analizzati dal Royal Netherlands Meteorological Institute, i nuovi dati mostrano concentrazioni di NO2 praticamente dimezzate nel periodo che va dal 13 marzo al 13 aprile 2020, rispetto alle concentrazioni medie rilevate nello stesso periodo del 2019. Madrid, Milano e Roma hanno visto una riduzione di circa il 45%, mentre Parigi un calo del 54% «coincidente con le severe misure di quarantena implementate in tutta Europa».

Le concentrazioni di biossido di azoto nella nostra atmosfera, come ricordano dall’Esa, variano molto di giorno in giorno a causa sia delle fluttuazioni delle emissioni, sia delle variazioni nelle condizioni meteorologiche. Questa variabilità meteorologica rende difficile arrivare a conclusioni solide sugli effetti del lockdown basandosi solo su misurazioni giornaliere o settimanali delle concentrazioni di inquinamento atmosferico. Serve dunque un approccio più complesso al problema: «Esistono notevoli variazioni meteorologiche in ogni Paese da un giorno all’altro, che hanno un grande impatto sulla dispersione del biossido di azoto – spiega Henk Eskes del Royal Netherlands Meteorological Institute – Osservare dati medi su periodi di tempo più lunghi ci consente di vedere più chiaramente i cambiamenti nelle concentrazioni di NO2 dovuti all’attività umana. Per questo motivo, le mappe mostrano concentrazioni su un periodo mensile con un’incertezza del 15%, che riflette la variabilità meteorologica non rilevata nelle medie mensili utilizzate».

Anche utilizzando quest’approccio molto prudenziale il crollo nelle concentrazioni di inquinamento atmosferico è netto in quanto il parametro osservato, il biossido d’azoto, è fortemente legato all’andamento del traffico veicolare. Tra i fattori emissivi rientrano tutti i processi di combustione, ma secondo l’Ispra oltre la metà di tutte le emissioni di NO2 in Italia dipendono dai trasporti su strada; non a caso il Sistema nazionale di protezione ambientale ha registrato già a fine marzo una diminuzione dell’ordine del 50% nelle concentrazioni di NO2 in Pianura Padana»  seguito delle misure introdotte dal Governo per l’emergenza» Covid-19.

Queste diminuzioni nell’inquinamento atmosferico hanno un loro risvolto positivo – l’Italia è il primo Stato in Europa per morti premature da NO2 con circa 14.600 vittime all’anno, come mostra l’Agenzia europea dell’ambiente – ma in generale la crisi da Covid-19 non rappresenta affatto una buona notizia per lo sviluppo sostenibile del Paese, che ne uscirà anzi ulteriormente indebolito senza le necessarie contromisure.

Questi crolli nelle concentrazioni di inquinamento atmosferico mostrano però con grande chiarezza il ruolo attivo che i comportamenti umani possono avere nel miglioramento dell’aria che respiriamo, offrendo così una bussola per nuovi investimenti pubblici a partire da quelli sulla mobilità: le idee non mancano, ora serve metterle in pratica.

Fonte:greereport.it

ROMENTINO 2030 – Le azioni dei piccoli comuni per la sostenibilità

E’ stato presentato in settimana il calendario di un ciclo di incontri per diffondere le tecniche di sostenibilità tra tecnici e cittadini in modo da stimolare nuove strategie di sviluppo urbanistico, gestire in maniera innovativa le risorse economiche e ambientali, migliorare le relazioni tra le persone e modernizzare i metodi di amministrazione.
Gli incontri, organizzati con la collaborazione degli ordini provinciali di Architetti, agronomi e ingegneri e con il patrocinio della Regione Piemonte e della Provincia di Novara, si svolgeranno presso il Centro Culturale Pio Occhetta di Romentino secondo un calendario che prevede 4 incontri:

1. 14 Febbraio 2020 – Le SPONGE CITY: Trattenere passivamente l’acqua piovana per ripulirla, riutilizzarla e azzerare i rischi;
2. Giugno 2020 – Le GREEN CITY: Trasformare gli ambienti urbani per vivere meglio. Spazi verdi, edilizia, energia, mobilità e gestione dei rifiuti;
3. Novembre 2020 – Le SMART CITY: Il ruolo e le opportunità per i piccoli comuni: dalla gestione digitale ai servizi sostenibili;
4. Febbraio 2021 – La SOSTENIBILITÀ’ PARTECIPATA:Dalla progettazione all’esecuzione: le scelte condivise rendono più facili le soluzioni ai problemi.

Il primo incontro verterà sulla gestione delle acque piovane in ambiente urbano con i sistemi di drenaggio sostenibile analizzando i diversi approcci dall’Ente Pubblico, alle componenti ingegneristiche, paesaggistiche e naturalistiche.

Riciclo della carta, a che punto è l’industria italiana dopo i limiti all’export di rifiuti in Cina

«La capacità europea di riciclo della carta aumenterà di 5,7 milioni di tonnellate nel 2019-2021 e coprirà, da sola, i due terzi dell’export europeo in Cina. Anche l’industria cartaria italiana darà il suo contributo con nuove capacità in via di realizzazione». Commenta così Massimo Medugno, direttore generale di Assocarta, alcuni articoli apparsi sulla stampa che fanno riferimento al mercato del riciclo della carta come saturo e che a pagare saranno i cittadini. «Le cartiere continuano a produrre in un mercato più difficile rispetto ad un anno fa ed ogni minuto vengono riciclate 10 tonnellate di carta al minuto in Italia, che potranno diventare 12, quando potranno partire le nuove capacità produttive per più di 1 milione di tonnellate».

L’industria cartaria italiana non ha però alcun interesse nell’attuale situazione del mercato delle carte da riciclare, che non riguarda peraltro tutte le tipologie e più in generale gli approvvigionamenti di fibre.

L’intenzione cinese di limitare le importazioni di rifiuti e di carta da riciclare era stata annunciata ampiamente e non può essere considerata una sorpresa. Negli anni passati i commercianti di rifiuti e materiali per il riciclo sono stati “abituati” da attraenti mercati asiatici, con prezzi fissati da soggetti che, spesso, prescindevano dai meccanismi dell’economia di mercato.

«Di fronte ad un cambiamento strutturale nel mercato dei rifiuti e delle materie prime secondarie, rimane sorprendente come non si colga l’occasione a livello di Paese per chiudere il ciclo in Italia e non si sblocchino, finalmente, gli iter autorizzativi che amplierebbero la capacità di riciclo di carta, come ad esempio quello di Mantova – aggiunge Medugno – Il sistema Conai-Comieco, nel rispetto del principio di sussidiarietà al mercato, sta intervenendo dove richiesto dai Comuni per assicurare i ritiri del materiale carta a livello comunale, senza costi per i cittadini».

La collaborazione con partner che forniscano in un mercato stabile, carta da riciclare di qualità e in quantità sufficiente è essenziale e le cartiere e il sistema consortile della filiera della carta sono da sempre impegnate a ritirare i materiali della raccolta differenziata urbana.

«Occorre a questo punto incidere sul “recycling habitat” e cioè sulle relative strutture amministrative e impiantistiche che ne fanno parte, ed è inutile lamentarsi che piove se non proviamo almeno ad aprire –  come sistema – l’ombrello che abbiamo», conclude Medugno, che indica una strategia in cinque mosse:

  • lo sblocco degli iter autorizzativi che ampliano il riciclo (ad esempio quello di Mantova)
  • la veloce applicazione della norma dell’EoW caso per caso, diventata legge all’inizio di novembre;
  • la disponibilità di impianti che recuperino e smaltiscano gli scarti del riciclo,
  • il varo dell’End of Waste “Carta” e di quello “Scarto di pulper”;
  • Infine, ma non meno importante, il miglioramento della qualità delle raccolte differenziate in significative aree del Paese.

Sciogliere i nodi sopra indicati contribuisce a migliorare il mercato della carta da riciclare, ma soprattutto il sistema dell’economia circolare in Italia rilanciando occupazione e sviluppo.

fonte:greenreport.it

Assocarta

La cura dei boschi e dei fiumi per proteggere il territorio

Mentre, puntualmente come dopo ogni nubifragio, le televisioni e i social network pullulano di semplici cittadini incazzati fatti passare per esperti di idraulica e urbanistica e di politici che per discolparsi di scellerate urbanistiche danno la colpa agli ambientalisti che impediscono di pulire i fiumi, come sempre sono i veri esperti (inascoltati) a spiegare cosa e perché è successo e cosa bisognerebbe fare perché non succeda più. Come nel caso delle forti piogge che hanno colpito l’Alessandrino e la Liguria in questi giorni, causando smottamenti, frane, allagamenti e ricoprendo di fango e detriti strade e campi e causando danni a comunità spesso già colpite negli anni passati dagli stessi fenomeni. Come spiega in una nota il Consiglio Ordine Nazionale Dottori Agronomi e Dottori Forestali (CONAF) «Le acque cadute si sono riversate a valle con estrema facilità, senza la mitigazione che i boschi dovrebbero dare, a causa della non corretta gestione forestale degli ultimi decenni».

La presidente CONAF, Sabrina Diamanti, aggiunge: «Immagini ormai ripetitive sono quelle che ci arrivano dalle aree piemontesi e liguri colpite dall’ultima ondata di maltempo. Ancora una vittima, ancora sfollati, e partirà la conta dei danni. Gli ultimi eventi atmosferici hanno nuovamente messo in luce la fragilità del nostro Paese».

Il Consigliere CONAF Corrado Vigo ricorda che «Il presidio del territorio, con una corretta gestione delle pratiche agricole e forestali, può aiutare sensibilmente alla riduzione di questi fenomeni amplificati dai cambiamenti climatici, che ricadono tutti sulla comunità e sulla collettività. Proprio per questo al CONAF stiamo iniziando un percorso di concertazione con enti e amministrazioni per la messa a punto di “linee guida per le buone pratiche rurali per la prevenzione del dissesto del territorio».

Gian Mauro Mottini, presidente della Federazione Interregionale degli Ordini dei Dottori Agronomi e Forestali del Piemonte e Valle d’Aosta, lamenta «la mancata manutenzione del territorio e della cura dei boschi e dei territori montani. Il governo dei boschi è fondamentale per ridurre i danni scaturenti da questi eventi atmosferici» e conclude: «La manutenzione dei fiumi, dei torrenti e dei canali, aggiunge, sono il “toccasana” per questi eventi, facendo sì che le acque raggiungano valle senza creare danni».

fonte: greenreport.it

Legambiente Piemonte contro i negozi nemici del clima

Anche se è tutto da dimostrare, molti commercianti pensano che tenere le porte dei negozi aperte tutto l’anno, estate e inverno, con i condizionatori o il riscaldamento in funzione, sia una strategia di marketing vincente, ma per Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta «Non ci sono invece dubbi sullo spreco energetico che ne deriva». Gli ambientalisti evidenziano che tenere aperte le porte con i condizionatori o il riscaldamento a palla «appare quanto di più in contrasto con le politiche di efficienza energetica e di riduzione delle emissioni di gas climalteranti».

Fabio Dovana, presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, non ha dubbi: «Uno spreco energetico assurdo che deve terminare. E’ inconcepibile che dopo mesi di mobilitazione globale, sempre più pressante e incisiva dal basso che vede protagonisti in primis i giovani, tantissimi negozi continuino a scegliere di tenere le porte aperte credendo che questo inviti più clienti ad entrare all’interno del negozio. Vista la coscienza ecologista crescente potrebbe semmai essere vero l’opposto!«.

Oltre alle motivazioni di carattere ambientale Legambiente ricorda che «Spesso sono i dipendenti degli stessi esercizi commerciali a lamentare un disagio, durante il loro lavoro, per le condizioni di confort termico degli ambienti destinati alla vendita. Come nel caso dell’outlet di Vicolungo, le porte dei negozi rimangono infatti aperte su precisa indicazione della proprietà con conseguente scambio termico tra l’ambiente interno e esterno».

Dovana aggiunge: «Facciamo appello alle associazioni di categoria affinché avviino una campagna di sensibilizzazione rivolta agli esercenti finalizzata ad accrescere la consapevolezza a proposito dei comportamenti da adottare per contenere i consumi energetici prodotti dagli impianti termici di climatizzazione estiva ed invernale, importante fonte emissiva di CO2».

Piemonte la maggioranza di centro-destra a trazione leghista in Consiglio Regionale ha bocciato l’ordine del giorno che proponeva, analogamente a quanto fatto da diverse istituzioni in tutta Italia, di dichiarare l’emergenza climatica e ambientale e Dovana si rivolge proprio alla maggioranza che governa il Piemonte: «Dopo la pessima pagina scritta nei giorni scorsi dai partiti di maggioranza in Consiglio Regionale che sono riusciti a negare l’emergenza climatica, mettiamo alla prova concreta la Giunta e il presidente Cirio con una proposta puntuale e concreta: la Regione, coerentemente con gli impegni derivanti dall’Accordo di Parigi, promuova un lavoro di coordinamento dei Comuni affinché approvino delibere ed ordinanze che impongano di mantenere chiuse le porte di ingresso degli esercizi commerciali verso l’esterno o verso altri locali non climatizzati, ad eccezione del tempo necessario all’entrata e all’uscita dei clienti e del personale».

fonte:greenreport.it

Ciclabilità urbana: Piacenza maglia rosa al Giretto d’Italia 2019. Sul podio anche Padova e Bolzano

Piacenza si è aggiudicata per la terza volta consecutiva, la maglia rosa del Giretto d’Italia, il campionato nazionale della ciclabilità urbana organizzato da Legambiente con il sostegno di CNH Industrial insieme a Euromobility – Associazione Italiana Mobility Manager e VeloLove, in collaborazione con le amministrazioni comunali aderenti. A seguire, conteggiando i numeri assoluti delle bici circolanti, troviamo Padova e Bolzano che completano così il podio dei comuni dove più persone usano quotidianamente la bici per andare a scuola o al lavoro.

Il Giretto – che come di consueto si è svolto nell’ambito della Settimana Europea della Mobilità – ha un valore simbolico, sia per il poco tempo della rilevazione sia perché la diversità delle città in gara in termini di urbanistica, densità abitativa e dinamiche di traffico rende complesse le valutazioni. L’obiettivo è quello di rendere visibile il traffico ciclistico delle città italiane che normalmente non è misurato nelle indagini statistiche sullo stato della mobilità, fornendo quei dati sugli spostamenti in bicicletta da casa al lavoro, che però spesso mancano e invece sarebbero utili in sede di programmazione e pianificazione della mobilità urbana.

Legambiente spiega che «Il conteggio dei ciclisti, per causa maltempo in alcune città, è avvenuto tra il 19 e il 24 settembre scorso (un monitoraggio di due ore, nella fascia oraria 6-10), tramite appositi check-point allestiti in 24 città italiane che hanno aderito all’iniziativa e in particolare nelle immediate vicinanze delle aziende pubbliche e private, delle scuole e università. In totale, sono passati dai varchi 35.461 lavoratori o studenti che hanno utilizzato la bici per i loro spostamenti casa-lavoro o casa-scuola. Da segnalare Reggio Emilia con il maggior numero di check-point installati per i monitoraggi (20) seguita da Novara (17) e Torino (16). A Ferrara, Novara, Reggio Emilia e Piacenza la maggioranza dei ciclisti coinvolti è tra gli studenti (Università e altre scuole), mentre a Padova gli spostamenti più ingenti sono stati nell’intorno dell’Ospedale.

Il calcolo del numero di bici circolanti in proporzione agli abitanti residenti (tenuto sempre conto delle due ore di monitoraggio presso le postazioni allestite) restituisce, invece, una classifica leggermente diversa: se   Piacenza resta sempre salda al primo posto (4,5 bici conteggiate ogni abitante), sale invece Bolzano (3,6), mentre Fano si piazza terza (3); a seguire Novara (2,4), Padova (2,2), Reggio Emilia (2,1) e Pesaro (1,6). I check point più “trafficati” in assoluto dalle bici nelle due ore di monitoraggi sono stati a Piacenza, dove a Barriera Genova sono stati conteggiati 2.142 ciclisti complessivi; a Bolzano, presso l’Eurac sono passati 1.888 ciclisti e al ponte Talvera (bar Luce), 1.840; a Padova, al check point San Francesco Ospedale, sono passate 1.621 bici.

L’analisi dei numeri per valori assoluti ci racconta che a Piacenza sono stati conteggiati agli appositi varchi 4.716 passaggi di bici. Segue Padova con 4.573 ciclisti che pedalano per andare a scuola o al lavoro, poi Bolzano dove in 3.900 hanno scelto la bici per questi spostamenti. A Reggio Emilia l’iniziativa ha interessato 3.586 persone mentre a Novara i ciclisti passati ai check-point sono stati 2.497. Ravenna ha visto 2.397 passaggi, a seguire Ferrara con 2.054; Fano con 1.860, poi Trento (1.652); Pesaro (1.547); Torino (1.435); Brescia (1.124); Pavia (936); Palermo (629); Udine (340); Bologna (333); Jesi (295); Napoli (278); Carpi (272); Lecce (205); Riccione (204); Genova (196); Modena (125); Carmagnola (114).

Anche quest’anno, il Giretto d’Italia ha visto il sostegno e la partecipazione di CNH Industrial, leader globale nel settore dei capital goods che progetta, produce e commercializza macchine per l’agricoltura e movimento terra, camion, veicoli commerciali, autobus e veicoli speciali. In occasione del Giretto sono stati coinvolti 665 dipendenti in 12 città dove sono presenti gli stabilimenti italiani della società (Piacenza, Torino, Bolzano, Modena, Jesi, Brescia, Suzzara, Lecce, San Matteo, Foggia, Pregnana Milanese e San Mauro Torinese). Legambiente ringrazia, infine, tutti i volontari delle varie associazioni che hanno garantito il corretto funzionamento dei check-point.

Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, conclude: «Il successo del Giretto ogni anno ci racconta di un’Italia pronta a pedalare, come lo è nello spostarsi a piedi e con il trasporto pubblico quando l’auto diventa davvero l’opzione meno concorrenziale e dove c’è garanzia di sicurezza Promuovere una modalità di spostamento più sana e più sostenibile e ripensare le città e le strade vuol dire non solo ridurre traffico e smog, ma anche creare le premesse per un concreto miglioramento della qualità della vita urbana. Rendere sostenibile l’intero settore trasporti è la vera sfida della lotta ai cambiamenti climatici, visto anche l’impatto sempre più drammatico che questo settore ha in Italia. È possibile farlo subito, ma solo superando una visione incentrata sull’automobile privata e sui motori a combustione, per scegliere le innovazioni e integrazioni possibili tra la mobilità ciclabile ed elettrica, pubblica e condivisa. È un impegno che chiediamo sia al Governo nazionale che alle amministrazioni locali che devono saper cogliere e concretizzare la spinta che arriva dai loro cittadini».

fonte:greenreport.it

A Torino Po d’aMare e sperimentazione della prevenzione del river litter

Fiumi puliti per mari puliti e il Po con i suoi 652 km, 4 Regioni e 13 Province attraversate, è il corso d’acqua che meglio si presta a operazioni di raccolta, recupero e riciclo dei rifiuti di plastica, prima che arrivino al mare.  E’  con questo intento che è nato iprogetto Il Po d’aMare a Torino, evoluzione della precedente attività di intercettazione, raccolta e riciclo sperimentata nel delta del Po nel 2018.

Il progetto pilota realizzato grazie al contributo di Amiat, Iren e Corepla, è stato predisposto dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, i Consorzi Castalia e Corepla con il Coordinamento dell’Autorità di Bacino distrettuale del fiume Po, il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e la collaborazione della Città di Torino e gli organizzatori fanno notare a chi ha criticato il progetto precedente che a Torino c’è un elemento strategico ulteriore: «E’ il primo caso di sperimentazione localizzata all’interno di un grande nucleo urbano. Le barriere infatti sono posizionate in zona Murazzi, proprio in prossimità del centro storico, fra i ponti Vittorio Emanuele I e Umberto I».

Il progetto torinese sarà curato Castalia Operations nell’ambito del progetto Seasweeper e prevede «l’installazione di un dispositivo composto da barriere galleggianti che consentono di raccogliere le plastiche e gli altri rifiuti galleggianti trasportati dal fiume. Il sistema è composto da due moduli progettati per restare posizionati fino a dicembre 2019. Le barriere non interferiscono con la flora e la fauna del fiume. Tramite un’imbarcazione “Sea hunter” e operatori da terra, i rifiuti verranno raccolti in appositi cassoni gestiti da Amiat, che provvederà a sua volta a conferire le plastiche presso un impianto Corepla che si occuperà della successiva valorizzazione dei materiali. Il materiale riciclato verrà quindi utilizzato per la realizzazione di arredi urbani che verranno regalati dai partner del progetto alla Città di Torino».

Inoltre, i risultati di questa seconda sperimentazione, inoltre, verranno confrontati con quelli ottenuti vicino a Ferrara. Castalia sottolinea che «Sarà così possibile valutare la fattibilità di un sistema nazionale di prevenzione dei rifiuti marini tramite sistemi di raccolta nei principali fiumi italiani e nel contempo la possibilità di creare una filiera virtuosa di riciclo e recupero delle plastiche raccolte».

La sindaca di Torino, Chiara Appendino ha ricordato che «L’abbandono dei rifiuti rappresenta un deprecabile malcostume che compromette la qualità di vita e il senso di sicurezza negli spazi pubblici, genera costi elevati per i servizi di pulizia e nuoce all’immagine delle località.  La sperimentazione di modalità innovative per liberare il Po dalla spazzatura, separando la plastica da altra immondizia e l’avvio di un processo di riciclo del materiale raccolto è una eccezionale opportunità per proteggere la salute di fiumi e mari. Torino punta a diventare un città plastic free e il Po d’aMare rappresenta anche un importante momento per sensibilizzare i cittadini nella difesa dell’ambiente naturale».

Christian Aimaro, presidente Amiat Gruppo Iren, ha dichiarato: «Ho fortemente voluto che questa sperimentazione si realizzasse qui a Torino, in un tratto in cui il Po attraversa il centro della città, di modo che l’iniziativa potesse ottenere la massima visibilità e contribuisse così a sensibilizzare cittadini, turisti e giovani generazioni su quanto siano importanti il rispetto dell’ambiente e la corretta gestione dei rifiuti. Sono orgoglioso che il progetto si realizzi proprio nell’anno in cui Amiat festeggia i 50 anni dalla propria costituzione e ritengo che la partecipazione attiva a questo importante progetto sia un’ulteriore testimonianza di come l’azienda e la città di Torino siano sempre disponibili a testare nuove soluzioni finalizzate a migliorare la qualità ambientale del territorio».

Renato Boero, presidente Iren Spa evidenzia che «Iren crede nella sperimentazione di soluzioni innovative finalizzate alla salvaguardia ambientale. Riteniamo che il sostegno a questa operazione sia non solo un’interessante opportunità per valutare nuove forme di raccolta e recupero dei rifiuti, ma soprattutto una straordinaria occasione di sensibilizzazione verso la popolazione, a cui possiamo così comunicare l’importanza dell’equilibrio ambientale, fra uomo, fiume e territorio, soprattutto in un contesto urbano, come quello di Torino, da sempre legato al Po e alla storia che esso rappresenta».

Il presidente Corepla, Antonello Ciotti, sottolinea: «Una corretta gestione dei rifiuti a terra è il gesto più importante per preservare i mari. Inoltre, la plastica raccolta in acque dolci è più facilmente riciclabile rispetto a quella raccolta in mare. La sperimentazione nella città di Torino vuole essere un ulteriore passo avanti “collettivo” di imprese, amministrazioni pubbliche e centri studi per una corretta educazione alla tutela dell’ambiente, per nuove attività di ricerca e sviluppo, per una reale circular economy».

Per Meuccio Berselli, segretario generale dell’Autorità di Bacino distrettuale del fiume Po, «L’estensione del progetto Il Po d’aMare alla nuova area individuata a Torino – ci consente di incrementare ulteriormente il livello di informazioni essenziali per un esame affidabile e approfondito riguardante la presenza dei materiali plastici nel Grande Fiume. Ringrazio i partner e le amministrazioni locali che intervengono a questa nuova esperienza-modello che potrà trovare autentica dimensione anche in altre aree lungo l’asta fluviale del Po».

Andrea Barbabella di Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, aggiunge: «Una iniziativa come Il Po d’aMare rappresenta anche un’occasione, specie se messa a sistema con altre iniziative, per comprendere meglio questo fenomeno a partire da domande apparentemente semplici: quanti rifiuti, sia plastici che non, trasportano i fiumi? Qual è l’origine di questi rifiuti? Quali sono le tecnologie migliori per il loro riciclo? Il percorso verso un’economia circolare ha bisogno non solo di soluzioni organizzative e tecnologiche innovative ed efficaci, ma anche di nuove e più solide conoscenze».

Lorenzo Barone di Castalia Operations conclude: «Il Consorzio Castalia ed i consorziati tutti, da oltre 30 anni operano per la salvaguardia del mare principalmente con interventi di contenimento da sversamenti di idrocarburi. Lo sversamento dei rifiuti solidi galleggianti in mare, compresi i materiali plastici, ha un vettore di trasporto principale con vari nomi propri, il fiume Po, il fiume Arno, il fiume Tevere, etc., ma come sorgente un unico e solo responsabile: il cittadino irresponsabile. Gli sversamenti da idrocarburi per la quale interveniamo, spesso sono dovuti ad incidenti con cause di origine variabile, non si può dire lo stesso per l’inquinamento da materiale plastico dovuto al trasporto da parte dei fiumi principalmente a seguito dilavamento delle sponde. Il nostro impegno continua, nella speranza che questo sforzo oltre a risultati di numeri, quantità di rifiuto raccolto prima che raggiunga il mare, possa sensibilizzare in modo adeguato i cittadini».

fonte:greenreport.it

Illuminazione pubblica sprecata e inquinamento luminoso, l’Italia sul podio europeo

In Italia il consumo di energia elettrica pro capite per l’illuminazione pubblica è il doppio di quello della media europea – 100 kWh l’anno a testa contro 51 kWh –, che si traduce in una spesa di 28,7 euro a testa, quando nei principali paesi europei la media è 16,8 euro e in Germania è di 5,8 euro: in altre parole spendiamo il quintuplo della Germania per tenere i lampioni accesi. Si tratta di soldi spesi bene o che nascondono sprechi, oltre che un importante presenza d’inquinamento luminoso?

Con una nuova analisi appena pubblicata, e basata sulla ricerca Light pollution in Usa and Europe: The good, the bad and the ugly, l’Osservatorio dei conti pubblici italiani indaga i flussi luminosi diretti verso il cielo (che, quindi, possono essere considerati flussi di luce sprecata perché non hanno effetti positivi sulla vita della popolazione e creano esclusivamente inquinamento luminoso) in rapporto alla popolazione e al Pil. Da entrambe risulta che «i paesi in cui la quantità di luce sprecata pro capite è più elevata sono Portogallo, Spagna e Italia», mentre i« paesi più virtuosi sono invece quelli dell’Europa centrale e orientale». Paradossalmente ma non troppo, dunque, «lo spreco di illuminazione pubblica non riguarda i paesi più ricchi. In altri termini, le regioni più ricche sono proprio quelle in cui si spreca meno corrente per illuminazione pubblica, mentre nelle regioni del sud Europa gli sprechi sono maggiori nonostante le peggiori condizioni economiche».

Un dato di fatto che si ripropone – pur con alcune notevoli eccezioni, in primis Napoli – anche riproponendo la stessa analisi sulle varie province italiane: nel 40% più virtuoso della classifica che ordina 1359 province europee secondo i flussi di luce sprecata pro capite, definita come luce che va verso l’alto non compare neanche una provincia italiana. La più “virtuosa” è Napoli, 567esima su 1359 province europee. Oltre Napoli, solo Bolzano (578esima) e Genova (660esima) stanno nella prima metà della classifica europea, mentre ben 58 province italiane su 110 (il 53%) stanno nell’ultimo 20% della classifica europea, e tra le meno virtuose compaiono Olbia-Tempio (1305esima), L’Aquila (1263esima) e Aosta (1262esima). Nonostante al primo posto in termini di minor spreco di luce per illuminazione pubblica Napoli (e Palermo sia al quarto posto), in generale le province del Sud sono però sottorappresentate nei primi posti della classifica, quelle del centro solo leggermente sottorappresentate e quelle del nord sono invece ampiamente sovra rappresentate.

In compenso, correggere queste distorsioni converrebbe a tutti: l’Osservatorio nota infatti che l’Italia nel 2017 ha speso 1,7 miliardi di euro per l’illuminazione pubblica, consumando 6.000 GWh, gli stessi di dieci anni fa, uno spreco che si tenta di tagliare (almeno) dal 2012 incontrando però sempre l’ostilità di Governo e Parlamento. Nel mentre l’Italia attende l’opportunità per tornare a riveder le stelle.

fonte:greereport.it